Pioniere del cemento armato, Auguste Perret ispirò Le Corbusier. Il suo appartamento affacciato sui boulevards è un manifesto Anni 30 con soffitti bassi, colonne, tanto legno e poco design.
«Sempre dritto. Seguite la Dame de fer». Un passante ci indica la strada, la rue Raynouard non è poi così lontana dalla Tour Eiffel. Si trova oltre la Senna, nel quartiere residenziale di Passy dove Giuseppe Verdi trascorreva l’estate. Al civico 51 incontriamo l’architetto olandese Felix Claus. «Da cinque anni a questa parte ci passo ogni weekend», dice con il naso all’insù e il braccio teso a specificare l’appartamento in cima all’immeuble Anni 30. Il palazzo è austero, sette piani progettati da Auguste Perret, pioniere del cemento armato e maestro di Le Corbusier. Dichiarato di interesse storico, è costruito interamente in calcestruzzo, con una serie di balconcini ad arco sporgenti sulla facciata. «La casa è una meraviglia rimasta come un tempo. Ho portato solo alcuni mobili, non si poteva stravolgere, ma non ho mai avuto intenzione di farlo».
L’attico occupa tutto il piano, con una terrazza intorno, «balcon filant, si dice in francese». Poco design, tanto legno. Le pareti e il pavimento sono in rovere, i soffitti bassi. Qua e là – tra le colonne – pezzi storici e contemporanei. «La personalità dell’appartamento è talmente forte da determinare che tipo di arredi possono o non possono entrarci». Le poltrone rosse di Gerrit Rietveld e quelle nere di Jasper Morrison per ammirare i boulevards di Parigi, una Thonet in legno curvato da café littéraire e una pila di libri. Sbirciamo tra le opere di Andrea Palladio e i romanzi di Hemingway, c’è anche un volume dello chef Paul Bocuse, uno dei più grandi cuochi del XX secolo. Eppure la cucina è vuota, è rimasto il campanello per chiamare le domestiche ma non ci sono fuochi, «ho portato un campingaz per la cottura di emergenza». Felix è un globetrotter, sempre in viaggio più per lavoro che per piacere.
Vive tra Amsterdam, Parigi e Tokyo, «e tra qualche ora parto per Chicago». Professore al Politecnico di Zurigo, qui è venuto per la prima volta con i suoi studenti in gita nel 2005. «Conoscevo il palazzo, ma non la casa. Perret ci abitava con sua moglie, non avevano figli. Oggi è di proprietà della Fondazione omonima, così contattai il presidente…». E ora – chiavi in mano – ne è diventato il custode ideale, «la maggior parte dei miei amici e conoscenti, da appassionati di architettura, non vedono l’ora di trascorrere del tempo nell’appartamento. All’inizio pensavo che avrei potuto appendere almeno qualche opera d’arte, ma il legno non lo permette». Niente quadri, alle pareti solo qualche fotografia dei progetti di Perret. La sua era una famiglia molto unita, «nei palazzi di loro proprietà, ai piani alti si trovavano gli appartamenti familiari, nel seminterrato gli uffici dell’azienda. Oggi sono stati venduti e il ministero dei Beni e delle Attività Culturali ha fatto un ottimo lavoro di ristrutturazione». Dei tre fratelli, Gustave era ingegnere, Claude gestiva gli aspetti commerciali dell’impresa edile del padre, e Auguste era la mente creativa che applicò al calcestruzzo forme e proporzioni prese dall’arte greca. L’architetto del cemento che ha realizzato – tra le altre cose – il Casinò di Saint-Malo e il Théâtre des Champs-Élysées e ricostruito il centro città di Le Havre dopo la Seconda guerra mondiale, diventato poi Patrimonio dell’Unesco. «Per molti versi i suoi lavori erano profondamente tradizionalisti, nonostante il modo rivoluzionario di utilizzare calcestruzzo, legno e pietra. Io spero di non essere tanto ossessivo quanto lui: ti basta guardare questo edificio per capire che è una sua fedele descrizione», scherza Felix. Ma vivere in uno spazio così richiede un piccolissimo compromesso. «Ho aggiunto una cabina doccia in cucina perché la vasca da bagno non è più collegata all’impianto». Pazienza. Poi saluta Parigi e vola per Chicago.
Testo Michele Falcone
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