La crisi del settore edilizio, iniziata nel 2008, ha generato una sostanziale crisi del mondo professionale, con conseguenti ripercussioni anche sulle iscrizioni ai test di ammissione alle varie facoltà di architettura presenti in Italia (riduzione statistica di circa il 30%). Probabilmente ciò è anche la conseguenza di notizie sconfortanti provenienti dal mondo delle professioni tecniche e per gli architetti, sia in termini di qualità che di guadagno economico.
Questo stato di cose è stato poi acuito anche dalle nuove norme sulle professioni intellettuali, introdotte nel 2012 (D.P.R.137/2012); in tal senso, tra i nuovi obblighi per le professioni tecniche, quelli che maggiormente hanno inciso sulla crisi del settore sono:
Per quel che riguarda le problematiche tariffarie, rispetto a una professione sempre più caratterizzata da responsabilità e incombenze burocratiche – l’architetto dedica oggi l’80% del suo tempo a districarsi nella burocrazia e solo il 20% per l’ideazione progettuale e ciò è evidente confrontando la scarsa qualità architettonica e ambientale Italiana, rispetto all’estero – il legislatore è intervenuto in totale controtendenza con tutto ciò, aumentando obblighi e responsabilità, come ad esempio l’obbligo di asseverazione per qualsiasi titolo o procedura edilizia (CILA, SCIA, DIA, PERMESSODI COSTRUIRE ).
Eliminando qualsiasi parametro minimo tariffario, quasi che i liberi professionisti dovessero essere puniti per i loro “faraonici” incassi, e con un eccesso di offerta rispetto alla domanda stante la crisi, i fatturati sono letteralmente crollati, come dimostrano le statistiche. Per altro anche l’altissimo numero di tecnici – architetti e ingegneri con laura quinquennale o triennale, geometri, interior designer, ecc. – che si dividono il mercato non aiuta in tal senso.
A ciò si è inoltre aggiunto l’onere oggi obbligatorio dell’ assicurazione professionale che garantisca patrimonialmente il committente ma anche, in ultima analisi l’architetto, non certo immune da errori.
Infine, ulteriore scossone alla professione è stato l’obbligo della formazione continua, sia in termini di tempo speso per ovviare a ciò, sia in termini di costi. La logica stessa dell’obbligo è di per se molto dirigista, dato che un professionista che operi con “scienza e coscienza” dovrebbe di sua sponte provvedere ad un aggiornamento professionale continuo, che lo metta in condizione di essere sul mercato con adeguata perizia. Il fatto stesso poi che gli obblighi formativi di professioni molto simili – architetti, ingegneri, geometri – abbiano regole attuative molto diverse tra loro, è oggettivamente contraddittorio ed ulteriore problematica del confronto professionale. Ma ciò sarà oggetto di un prossimo intervento.
Si spera comunque che, in prossimità della fine del triennio di messa a regime per la formazione continua degli architetti, il nuovo Consiglio del CNAPPC, in corso di elezione, sappia porre dei correttivi alla stessa, che aiutino da una parte l’esigenza di aggiornamento formativo, ma dall’altra tengano conto anche della grave crisi in essere.
articolo dell’Architetto Alberto Fabio Ceccarelli
http://www.architetti.com/architetti-3-grossi-problemi-minimi-assicurazione-formazione.html
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